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Una storia banale

Il primo vero fastidio l’ho provato in saletta. Ero lì, in mezzo ai cabinati dai mille colori che facevano da colonna sonora, con canzoni ovviamente diverse che suonavano in contemporanea ma grosso modo appartenenti allo stesso genere. Tra i vari Tekken, Street Fighter, Puzzle Bobble, Pang e chi più ne ha più ne metta, io sceglievo il primo. E mentre pregavo che gli spiccioli dei nostri genitori fossero infiniti, con mio fratello perso da qualche altra parte, succedeva, ma in realtà sarà successo al massimo tre volte, che arrivava questo tipo e mi si appiccicava dietro. E io non lo sopportavo, perché inevitabilmente mi faceva sbagliare. Ero convinto fosse lì per quello, per farmi sbagliare, eppure il fastidio era più viscerale, che la pancia mi richiedeva di fare qualcosa per interrompere tutto, fermare la musica, dare fuoco alle persone.

Dio mi benedica

bikeCerte sere te le ricordi perché sei sicuro solo di una cosa. Nel momento esatto in cui arrivi in un posto, sai che essere altrove avrebbe significato cambiare tutta la tua vita da niente. Ovunque ma non lì. Da nessuna parte se non lì.

Ma prima non lo sapevo, e giacché la condiscendenza ha sempre esaltato un lato del mio carattere, quello che mi fa amare dalle mamme e odiare dagli ex fidanzati, deridere dagli amici e invidiare dai nemici, affronto il mio destino. Ho detto sì a una serata di beneficenza. Nutrendo profonda fiducia in Étienne Liebig e nel suo “Come sedurre la cattolica sul cammino di Compostela”, certo che dove esiste un posto che raccoglie fondi per il Congo, là si trova un numero imprecisato di giovani fanciulle che provano a sublimare con la beneficienza l’intrinseco e profondo desiderio di svelare quanto si dice circa l’Africa e agli uomini che la popolano, ho detto sì.

Le briciole

le-bricioleNon era così carino. Anzi, i tratti del volto mi hanno distratto per un bel po’ dai contenuti dei suoi discorsi. Se dovessi dire cosa avesse tanto da raccontare quella sera a Lucia, non metterei insieme due frasi. Tant’è che quando mi ha inviato quel messaggio su facebook, pregandomi di potermi chiedere l’amicizia, ci ho messo prima un po’ a capire chi fosse, e poi ho pure pensato che  questo eccesso di zelo fosse stucchevole. Al primo like devo dire che ho fatto caso alla foto scelta, e ci ho visto un’attenzione. Ho iniziato a pensare che non lasciasse nulla al caso. Come un fiume che finisce in una cascata eccomi a scambiare pareri, opinioni, commenti su abiti e taglio di capelli, della simpatia di Lucia e della fortuna che quella sera fossi uscita con lei. Bang! Tre ore dopo eravamo in una camera d’albergo. Di pomeriggio. Per la prima volta in un albergo a scopare.

Una volta soltanto

tradimentoTutto volevo tranne che passare una serata a sentire quei tre, che sapevo non avrebbero fatto altro che i saputelli, splendidi e tristi, su qualunque argomento proposto, purchè mettesse in evidenza la mia ignoranza. Su una sola cosa non erano ferrati, stupidi nerd. Sulla bellezza di Angela, che quella sera, chissà perché, aveva deciso non solo di accompagnarmi, ma anche e soprattutto di farmi fare un figurone con gli idioti che avrei dovuto incontrare a cena. Splendida è riduttivo. Le è bastato un jeans, le scarpe giuste e quella cavolo di magliettina con su la stampa di Audrey Hepburn per sprigionare una quantità di classe ed eleganza che i primi venti secondi che l’ho vista quando sono andato a prenderla sono andato in apnea. L’incredulità sui volti dei commensali quando lei ha cominciato a raccontare come ci eravamo conosciuti, come l’avevo sedotta e soprattutto quale grande baciatore fossi, mi faceva contorcere lo stomaco.

Non sono come le altre

pallonciniLa prima cosa che rispondevo era che si trattava di idioti, ragazzini tutto piscio e vento, sfigatelli segaioli. Però mi facevano incazzare eccome. Anche quando ne parlavo con le altre, ostentavo superiorità e loro mi davano ragione. Eppure ci stavo male, sotto sotto avrei voluto prendere quelle teste di cazzo e spaccarle una a una contro il muro. Soprattutto al mare, quando non c’erano maglie e tute che potessero in qualche modo imboscare tutta la carne e l’anima che mi portavo appresso.

Ne vale la pena

sesso_e_handicapLa cosa che mi colpì di più da piccolo era la convinzione che aveva mia zia. Una volta la sentii parlare con mamma. Secondo lei avrei dato molti meno problemi da morto. Ecco, l’ho detto. Si, perché lei era della vecchia scuola, quella che i maschi se la devono cavare da soli, che devono portare i soldi a casa. E io porto giusto i soldi della pensione, e quelle trecento euro che mi danno alla Regione per un lavoro che non serve, tranne che a candeggiare l’anima di qualche politico.

Il vento dappertutto

1cab1f25c377La frase che in quel momento mi stava martellando il cervello era una sola. “Fallo, voglio proprio vedere”. Come una provocazione, come uno sfottò. Io ero serissima. Ma mi precedeva la mia storia di annunci grandiosi e mai realizzati, cose tipo “me ne vado a vivere a New York”, “mollo tutto, non ce la faccio più”. Oppure la mia tristezza non traspariva del tutto. Che poi io la chiamavo tristezza, ma in realtà credo fosse più che altro frustrazione. Perché a trent’anni suonati non puoi stare così, senza una soddisfazione, senza un sorriso. Mi sono accorta che le persone intorno hanno smesso mano a mano di ascoltarmi, di coccolarmi, di accarezzarmi.

Il resoconto

Tabu_10_perv_sessualeElena aveva quel modo di fare da adolescente svampita e seducente. La conosco da dieci anni ed è sempre stata così. Saranno gli occhi chiari, o la voce un po’ roca, sempre bassa. Ti dà sempre l’idea che stia per chiederti di scopare. Poi c’è Lena, santarellina dalle tette spropositate. Santarellina per modo di dire, ovviamente.

Anche stasera ci incontreremo al bar di Livio, e come ogni volta ci sarà il tremendo resoconto. Due oche e una bambina. Secondo me questo sembriamo a chi ci osserva dai tavoli vicini.

Un sadico

sadikQuando ero piccolo i pomeriggi non passavano mai. L’unica cosa che ricordo con certezza era la voce aspra e roca di mio padre. Mi diceva sempre che aveva comprato la casa col giardino per non farmi correre rischi. Che poi, che rischi potevo mai correre in una periferia dove in trenta ragazzini giocavano a pallone per la strada. Ma niente, non c’era verso. Una volta che avevo scavalcato per raggiungere i miei amici non sono riuscito a tornare in tempo e ho preso tante di quelle botte che se ci penso ancora scappo. Era rimasto vedovo troppo presto per accogliere le mie richieste, e il suo unico obiettivo era vincere la guerra con la nonna. L’educazione era il suo punto di forza. Coi parenti, gli amici di papà, i vicini, ero un gioiello. Immobile ad ascoltare tutte le stronzate che mi dicevano. Non me lo aveva insegnato lui, a fare il bravo figliolo. Avevo capito che giocava a suo favore, che gli altri ne avrebbero parlato bene e lui sarebbe stato contento.

Da cancellare

percorsidifficilivn6Quella volta eravamo io, Rossella e Michele. Forse la quarta volta in cui Rossella mi prometteva che non sarebbe successo nulla, che anche Michele aveva piacere a stare con me, ma che non era tanto sicuro, e voleva passare un po’ di tempo tutti insieme. Come al solito sono andata a casa di Rossella, ho salutato la mamma e sorridendo sono uscita insieme a lei. Dopo un giro al parchetto, siamo di nuovo andati là, al 12, il palazzo dei vecchi, e ancora ci siamo seduti lì a chiacchierare. Poi, appena mi sono voltata per prendere la sigaretta che avevo rubato a papà, eccoli che ricominciano a baciarsi. Ed ecco che di nuovo mi sono salite le lacrime.