Certe sere te le ricordi perché sei sicuro solo di una cosa. Nel momento esatto in cui arrivi in un posto, sai che essere altrove avrebbe significato cambiare tutta la tua vita da niente. Ovunque ma non lì. Da nessuna parte se non lì.
Ma prima non lo sapevo, e giacché la condiscendenza ha sempre esaltato un lato del mio carattere, quello che mi fa amare dalle mamme e odiare dagli ex fidanzati, deridere dagli amici e invidiare dai nemici, affronto il mio destino. Ho detto sì a una serata di beneficenza. Nutrendo profonda fiducia in Étienne Liebig e nel suo “Come sedurre la cattolica sul cammino di Compostela”, certo che dove esiste un posto che raccoglie fondi per il Congo, là si trova un numero imprecisato di giovani fanciulle che provano a sublimare con la beneficienza l’intrinseco e profondo desiderio di svelare quanto si dice circa l’Africa e agli uomini che la popolano, ho detto sì.
Primo errore: fiducia in un Dio giusto e generoso, quando ti ha fornito più volte prova della sua sprezzante ironia. Secondo errore: metterti nella condizione dell’impossibilità della scelta.
Sul primo poco da fare. Ti illudi di sovrastarlo, di ignorarlo, di venerarlo, di rispettarlo, ma non c’è niente da fare. Siccome Dio sa tutto, sa anche che non ti piace, ed evidentemente tu non piaci a lui.
Rispetto al secondo errore, forse si tratta solo di superbia. Arrivi dopo, fai l’entrata scenica, hai il quadro completo della situazione, e, furbescamente, ti metti nella condizione di scegliere. E scegli.
La verità è che ho passato i quindici anni che precedevano quella serata a rincorrere il modo più emozionante e teatrale, nonché adolescenziale e infimo, per entrare e uscire dalle mutande di qualsiasi ragazza avesse un benché minimo senso di grazia ed erotismo. E ci ero sempre riuscito, ogni cazzo di volta, perché… be’, perché lo sapevo fare. Con quella testa mi ero approcciato alla serata, ad Anna, alle sue battute. Ho utilizzato tutti gli strumenti, la parola, il contatto visivo, l’ascolto, l’esperienza, ciò che si legge nei libri motivazionali e tutta la mia arte della seduzione. Ho usato tutto, puntando nella maniera più becera e qualunquista, alla sua camera da letto. Come un cecchino spietato. Quella sera superai ogni contendente, ogni limite posto dal bon ton, ogni aspettativa. E fu qualcosa di grandioso.
E dopo sei anni eccomi qua. Da tre mesi, da quando l’ho seppellita, dopo un pezzo di vita insieme, la casa, i sogni e tutto ciò che di spettacolare avevamo costruito, immaginato e progettato, ecco, da quel giorno non faccio altro che pensare che forse sì, forse Dio me lo ha fatto di proposito. Ha preso me, un maschilista, sessista, cinico scopatore, bugiardo e traditore, una brutta persona insomma, e lo ha messo di fronte alla cosa migliore che potesse capitargli. E poi gliel’ha tolta. Non ho ancora smesso di piangere, di bestemmiare, di essere affranto, arrabbiato, distrutto da un’assenza che cambia la vita quasi quanto la sua presenza. Eppure una cosa posso dirla. Dio non sa cosa vuol dire amare, io sì. E tanto mi basta per vivere.