Ne vale la pena

sesso_e_handicapLa cosa che mi colpì di più da piccolo era la convinzione che aveva mia zia. Una volta la sentii parlare con mamma. Secondo lei avrei dato molti meno problemi da morto. Ecco, l’ho detto. Si, perché lei era della vecchia scuola, quella che i maschi se la devono cavare da soli, che devono portare i soldi a casa. E io porto giusto i soldi della pensione, e quelle trecento euro che mi danno alla Regione per un lavoro che non serve, tranne che a candeggiare l’anima di qualche politico.

Il fatto è questo, una malformazione spinale, non proprio una spina bifida, che non mi permette di mantenermi eretto, e che soprattutto provoca in chi mi incontra quello sguardo opaco, con le sopracciglia calate sui lati esterni del volto e la testa a tre quarti su un lato.

È l’immagine più agghiacciante. Anzi no, la seconda. La prima sono io allo specchio. Perché è inutile prendersi in giro, l’immagine di me fa schifo. L’unica cosa che pensavo era: ma chi se lo piglia uno così, che non si regge in piedi, che ci mette un’ora per lavarsi la faccia, che traballa al solo pensiero che una donna lo tocchi.

Questo fino a oggi. Fino al tremore, ai brividi di freddo, all’infinito imbarazzo che ho provato quando le ho palpato il seno. Era vero, più morbido di come lo avevo immaginato. Come una nuvola. No, davvero. Era un “ti aiuto a metterti a letto”, e la risata si è trasformata in sesso. Passione. Si chiama così. Vorrei che mia zia fosse ancora tra noi. Mi piacerebbe dirle che aveva torto. Che ho vissuto abbastanza per poterla provare. E che ne vale la pena.