L’unico desiderio

img_2028878987099356Come se ci fosse un pesce luminescente in una palla di vetro. Non comprerò mai più questo tipo di orologi, anzi dovrebbero renderli illegali. Col tallone percorro tutta la linea della cucitura del materasso, e a un certo punto incontro il cursore della zip che chiude questo schifo di poliuretano espanso e ovatta di poliestere. Mentre mi rigiro trovo un fosso dovuto al collasso di qualche molla. Ne ho contati quattro. Anche le lenzuola si ribellano, e quindi provo, pancia all’aria a risistemare il tutto, con risultati pessimi. La frenata delle tre all’incrocio sotto casa mi fa optare per una sigaretta, e dunque quasi a occhi chiusi recupero il pacchetto sul comodino e mi metto seduto. Il rumore della carta che brucia mi ha sempre affascinato, e richiede una certa concentrazione. A metà della sigaretta non ho ancora ciccato, concentrato come sono sulla luce lieve che emette e che si espande a ogni boccata. Cade la cenere per terra. Fanculo. Mi dirigo verso il balcone, per recuperare scopa e paletta, ma prima di arrivarci incappo nel divano. Telecomando e zapping, e conoscendo a memoria i canali mi butto sulle pubblicità delle tv locali. Dalla scopa a vapore alla crema per l’allungamento del pene, tutti più o meno con la stessa ambientazione e le stesse luci, che mi ricordano che domani, tra quattro ore, mi devo trovare a Cinecittà per quella merda di programma. Nel posacenere a palla da biliardo ho lasciato mezza cicca. Accendo anche quella, e finisco con qualche tetta a non desiderare manco un toccamento. Sono pigro anche per masturbarmi. Al contrario dei vicini, che a quanto pare dopo il sesso di mezzanotte hanno attaccato a litigare e non hanno ancora smesso. Mi fa ridere perché bisbigliano, come se questo bastasse a tenermi fuori dalle loro discussioni. Il vocione di lui è imbarazzante quando fanno sesso, e diventa a dir poco insopportabile quando litiga, una cantilena di giustificazioni alle lamentele di lei. Eppure a vederli non si direbbe, due mingherlini che sorridendo mi salutano tutte le mattine. Il volume della tv è a due, ma l’entusiasmo dei venditori si sente tutto. Poi lo azzero, e osservando solo le loro espressioni facciali si capisce benissimo che non gliene può fregare di meno di quello che stanno facendo. Un’altra frenata, stavolta più rumorosa, e un botto.

Sempre lentamente esco, ripassando prima dalla camera per recuperare le sigarette. Dal terzo piano vedo il litigio, e le urla di lei che prima prova a incazzarsi col fidanzato e poi si fionda sul ragazzetto che non aveva fatto altro che frenare, spaventandoli e facendoli sbandare fino a colpire il palo del senso unico. Mi immagino di scendere e spiegare ai tre come sono andate effettivamente le cose, come se avessi visto tutto. Poi le tipiche espressioni romane mi strappano un sorriso, e il ragazzetto chiude la telefonata col padre, prende e se ne va.

Me ne vado anche io, mentre gli altri due aspettano la volante della municipale, che a occhio e croce ci metterà una buona mezz’ora. Attraverso tutta casa, rendendomi conto della polvere sul mobile della tv, tra i libri, fino al tavolo dove al centro sono abbandonati cinque o sei volantini di elettronica, mediaworld, euronics e così via. Devo cambiare il telefono, che il mio non ha più memoria. C’è un momento in cui mi rendo conto di essere accanto alla porta d’ingresso, a cercare il più piccolo dei rumori, l’ascensore, le porte che si aprono e si chiudono, addirittura un rutto.

Anche questo mi fa ridere, mi ridirigo verso la camera.

Perché non leggi, perché non scrivi, perché non esci, e altre diecimila domande come queste mi aspettano domani mattina, quando Carlo vedrà le occhiaie e mi chiederà se ancora una volta non ho dormito. E io ogni volta glielo dico. Non voglio leggere, scrivere, uscire. L’unico desiderio di chi non riesce a dormire è dormire. Sulla scrivania c’è il portapenne rovesciato. Lo strasformo in una partita a shangai, e quando mi rendo conto che mi sta portando via più del tempo preventivato butto tutto all’aria e riparto. Mi ricordo della cenere sul pavimento, prendo la scopa finalmente, e la paletta. Pulisco tutto e quando rimetto a posto gli attrezzi mi accorgo che il buio profondo sta schiarendo. Mi sdraio, sempre pancia all’aria. Giro lo sguardo con un po’ di timore, e l’orologio luminescente segna le cinque e un quarto.

Quel senso di nausea, quella tachicardia, lentamente sparisce, penso che tra un po’ mi dovrò svegliare e l’ultimo rumore che sento è il cinguettio dei primi uccelli del mattino. Anche oggi è quello il momento esatto in cui perdo i sensi. E dormo. Due ore dormirò.